Proposta di legge affido e adozioni
PROPOSTA DI LEGGE
D’iniziativa del Deputato Carmen Letizia Giorgianni
Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 in materia di diritto del minore ad una famiglia
ONOREVOLI COLLEGHI!
In Italia, la legislazione vigente in materia di minori fuori della famiglia ha subìto nel corso degli anni una significativa evoluzione: si è passati dalla loro accoglienza presso gli istituti di assistenza pubblici o privati per minori, cosiddetti «orfanotrofi», al loro collocamento presso comunità di tipo familiare, cosiddette «case-famiglia» e al loro affidamento come possibile fase transitoria verso l’adozione.
In particolare, la legge 4 maggio 1983, n. 184, la legge-quadro in materia di adozione e di affidamento del minore, ha sancito definitivamente il «diritto del minore alla propria famiglia», portando a compimento il delicato processo di chiusura e di trasformazione dei vecchi orfanotrofi, con la previsione delle cosiddette «comunità familiari», atte a garantire al minore la convivenza in un ambiente il più possibile simile a quello della famiglia propriamente detta, pur continuando a riconoscere un ampio sistema di misure di tutela dell’interesse primario del minore a crescere e ad essere educato nel proprio nucleo familiare.
In questo contesto si inserisce la normativa speciale di cui alla citata legge-quadro n. 184 del 1983, come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, che stabilisce innanzitutto che «Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia» e, innovando rispetto alla precedente disciplina, prevede espressamente (articolo 1, comma 2) che «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto».
Numerosi segnali, però, rivelano una serie di perduranti criticità nel sistema di protezione dell’infanzia, che le istituzioni e la società civile non possono più ignorare.
In primis, se, da un lato, alcuni tempi di legge sono necessari, indispensabili e congrui rispetto alla complessità delle procedure e delle materie trattate, dall’altro la previsione di tempi non essenziali, né perentori non è sempre funzionale alla tutela degli interessi del minore.
È il caso delle disposizioni di cui al Titolo I-BIS Dell’affidamento del minore, che mirano a fronteggiare la situazione di un minore che si trovi “temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo” ad assicurargli il mantenimento, l’istruzione e l’educazione mediante inserimento temporaneo dello stesso preferibilmente presso una famiglia.
L’affido è un’istituzione di aiuto e sostegno molto importante per garantire al minore il diritto di crescere in un ambiente che possa soddisfare le sue esigenze educative e affettive, rispettando i suoi bisogni, in riferimento alle caratteristiche personali e familiari e alla sua specifica situazione di difficoltà.
La temporaneità è, quindi, la caratteristica principale di questo istituto, a differenza dell’adozione. La legge, tuttavia, non esplicita il concetto di temporaneità, non stabilendo il lasso di tempo cui bisogna far riferimento. In particolare, l’articolo 4, comma 4, della legge n. 184/1983 prevede espressamente che l’affidamento familiare «non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, su richiesta del pubblico ministero e nel contraddittorio delle parti, qualora la sospensione dell’affidamento rechi grave pregiudizio al minore. A tal fine, prima del decorso del termine di durata dell’affidamento il servizio sociale segnala al pubblico ministero l’opportunità di richiederne la proroga».
Ma l’affidamento dei minori in difficoltà familiare troppo spesso non rappresenta una soluzione temporanea, come invece dovrebbe essere, con la conseguenza che non si raggiunge mai, per quel minore, la situazione di stabilità familiare fondamentale per il suo sviluppo.
L’infanzia è un bene di primaria tutela che va incontro ad una inevitabile, e spesso irrimediabile, compromissione dal perdurare di situazioni di precarietà. Utilizzare l’affidamento e l’allontanamento dalla famiglia di origine come misura a tempo indeterminato snatura l’istituto e lo trasforma in una misura definitiva idonea ad aggiungere abbandono all’abbandono. Se il nucleo familiare di origine, già valutato come inidoneo, «nonostante gli interventi di sostegno e aiuto» non è riuscito nell’arco di tempo di due anni a superare le proprie criticità, non appare ragionevole mantenere il minore in una situazione di precarietà affettiva, privandolo, di fatto, del diritto ad una infanzia serena.
E ciò è ancora più vero se si considera che l’allontanamento dal nucleo familiare di origine, secondo la giurisprudenza sovranazionale, alla quale sono conformi in modo assoluto la normativa e anche la giurisprudenza costituzionale di legittimità, rimane l’extrema ratio e deve essere disposto soltanto allorché si manifesti l’immediata impossibilità di soluzioni alternative, prima di tipo assistenziale (articoli 30 e 31 della Costituzione e articolo 8 della CEDU), poi eventualmente di tipo autoritativo. L’allontanamento per un bambino o per un ragazzo è un danno e si può praticare solo quando il danno sia considerato inferiore al pericolo a cui è esposto il minore.
Si deve, invece, constatare che oltre il 60 per cento di questi minori è posto in affidamento da oltre due anni e che tale dato è rimasto sostanzialmente stabile dalla fine degli anni ’90.
Sempre in un’ottica di garantire la continuità affettiva del minore, in un ambiente protetto e già sperimentato, il decorso positivo del periodo di affidamento dovrebbe comportare, in caso di dichiarazione dello stato di adottabilità, l’adozione, in primis, in favore dell’affidatario, portando a quel salto di qualità che consentirebbe di considerare l’affido come anticamera della adozione.
Presupposto fondamentale, poi, perché i diritti dei minori non restino lettera morta è l’ascolto. Ascoltare i bambini e i ragazzi significa dare attuazione a un diritto e non a un diritto qualsiasi, bensì a un diritto sancito dalla citata Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, che al paragrafo 2 dell’articolo 12, dispone che «si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale». Il diritto all’ascolto rappresenta un tassello fondamentale del principio del superiore interesse del minore sancito dall’articolo 3 della stessa Convenzione, che costituisce il perno, la finalità e insieme lo strumento di tutela delle persone di minore età.
Il principio è semplice e, insieme, impegnativo: le persone di minore età devono poter esprimere la propria opinione in tutte le situazioni che le riguardano. Il dovere degli adulti e delle istituzioni, è, dunque, ascoltarli sempre, riconoscendo anche ai più piccoli la loro centralità nella famiglia, nella scuola, nella comunità e nei tribunali, con modalità, condizioni e tempi adeguati alla loro età.
In Italia, per una persona di minore età, nelle aule giudiziarie l’ascolto è previsto solo in caso di soggetti di età pari o superiore a dodici anni ed è lasciato, nella migliore delle ipotesi, all’opinione degli esperti, come se le parole dei bambini non bastassero da sole a spiegarne i drammi. In particolare, nel prevedere l’ascolto il legislatore non ha originariamente disciplinato le modalità per una corretta messa in opera della procedura, nonostante l’esigenza di assicurare al minore la possibilità di esprimere le proprie idee e di far sentire la sua voce. Con la legge 10 dicembre 2012, n. 219, e con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, sono state introdotte delle norme, seppur minime, di procedura attraverso l’articolo 336-bis del codice civile e l’articolo 38-bis delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318. Le nuove disposizioni normative non hanno, però, coperto tutti gli aspetti metodologici dell’audizione e pertanto, oggi come ieri, buona parte della metodologia è affidata alle prassi virtuose.
La citata Convenzione sui diritti del fanciullo è entrata in vigore, a livello internazionale, il 2 settembre 1990: da allora, se molti sono stati i progressi raggiunti e molto è stato fatto sul piano della sua attuazione, altrettanto resta ancora da fare, soprattutto nei confronti delle persone di minore età in situazione di particolare vulnerabilità.
Alla luce delle considerazioni esposte, la presente proposta di legge è volta a dare attuazione ai due princìpi cardine della legislazione in materia di tutela dei minori: il principio del superiore interesse del minore e il diritto di bambini e degli adolescenti a vivere e a crescere in famiglia.
In particolare, la proposta di legge consta di un unico articolo di modifica della legge 4 maggio 1983, n. 184 e, in particolare:
a) modifica degli articoli 4 e 22, con l’eliminazione della possibilità di ulteriori proroghe della durata dell’affidamento e la previsione che l’affidamento del minore ad una famiglia, ovvero ad una persona singola legata allo stesso da vincoli di parentela, equivale all’affidamento preadottivo ai fini della dichiarazione di adozione;
b) modifica dell’articolo 2, al fine di rivedere i requisiti oggettivi e procedurali per l’affidamento e ampliare la platea dei possibili soggetti adottandi, ma sempre con un’attenzione particolare a evitare di aprire la strada ad adozioni “anomale”;
c) modifica dell’articolo 6 al fine di consentire l’adozione anche a persone singole, purchè legate da vincoli di parentela con l’adottando, sul presupposto che un parente possa offrire una situazione meno traumatica e più accettabile per il minore;
d) modifica dell’articolo 9, al fine di precisare che la durata massima dell’affidamento vale anche per i minori ricoverati presso Istituti di assistenza pubblici o privati ovvero in comunità di tipo familiare. La situazione di precarietà del minore, infatti, richiede di essere risolta, a maggior ragione, se lo stesso si trova affidato presso un istituto: trascorso il periodo, certamente non breve, di 24 mesi senza che la situazione del minore si sia avviata a soluzione, occorre trovare allo stesso una stabile e adeguata sistemazione onde evitare che trascorra la maggior parte della sua l’infanzia in un istituto;
e) nell’ottica di una semplificazione e accelerazione delle procedure, la lettera e) dell’articolo 1, modifica l’articolo 10 della legge in esame al fine di evitare che il Tribunale per i minorenni disponga per legge accertamenti ulteriori che – di regola, delegati ai servizi sociali, richiedono tempi a volte molto lunghi – demandando tali accertamenti già alla fase iniziale del ricorso (art. 9 comma II° bis) e prevedendo la integrazione probatoria solo come eventuale, nel caso in cui il Tribunale ravvisi la necessità di un approfondimento;
f) sempre nell’ottica di una semplificazione e accelerazione delle procedure, si reputa che una convocazione di familiari i quali, non rispondendo all’invito del Tribunale, abbiano già palesato il loro disinteresse per il minore, risulti attività defatigante e di inutile aggravio del carico di lavori dei Tribunali per i minori. Analogamente, impartire le prescrizioni in materia di cura e assistenza del minore, con corollario di controlli e verifiche, a genitori o familiari che non si sono fino a quel momento curati dello stesso, appare attività superflua avente come unico risultato un ulteriore allungamento dei tempi;
g) modifica dell’articolo 22, con la sostituzione della domanda di adozione con una dichiarazione di disponibilità anche per sottolineare che tale istituto non è una concessione dello Stato, ma un diritto del minore abbandonato. Essa poi non decade, costringendo ad una nuova dichiarazione, ma è consentito un suo semplice rinnovo.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
(Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184)
1. Alla legge 4 maggio 1983, n. 184 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) Il comma 1 dell’articolo 2 è sostituito dal seguente:
«1. Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia o ad una persona singola, che sia a questi legata da vincoli di parentela, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno e che fornisca la propria disponibilità ai sensi dell’art. 22»;
b) all’articolo 4:
a) il comma 1, primo periodo, è sostituito dal seguente: «L’affidamento familiare è disposto dal Tribunale per i minorenni, su proposta del servizio sociale locale, previa verifica da parte del servizio medesimo dei requisiti di cui al comma 4 dell’articolo 22, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni nove e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento.»;
b) al comma 4, le parole da «ed è prorogabile» fino alla fine del comma, sono abrogate;
c) il comma 6 è sostituito dal seguente: «6. Il giudice tutelare, trascorso il periodo di durata di cui al comma 4, e sempre che non sussistano le condizioni per la cessazione dell’affidamento di cui al comma 5, sentiti il servizio sociale locale interessato ed il minore che ha compiuto gli anni nove e anche il minore di età inferiore, in considerazione delle sue capacità di discernimento, propone al competente Tribunale per i minorenni di dichiarare lo stato di adottabilità dello stesso»;
c) all’articolo 6, comma 1, sostituire il primo periodo con il seguente: «L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, ovvero a persone singole legate da vincoli di parentela con l’adottando.»;
d) all’articolo 9:
a) al comma 2, aggiungere, in fine, il seguente periodo: «Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni richiede, comunque, al Tribunale la dichiarazione di adottabilità quando risultino decorsi due anni dall’affidamento del minore in stato di abbandono presso comunità di tipo familiare o presso istituti di assistenza pubblici o privati.»;
b) dopo il comma 2, aggiungere il seguente comma: «2-bis. Il ricorso di cui al comma 2 contiene la indicazione di tutti gli elementi da cui si ricava lo stato di abbandono e delle condizioni giuridiche e di fatto del minore e dell’ambiente in cui vive o ha vissuto.»;
e) all’articolo 10:
a) il comma 1, secondo periodo, è sostituito dal seguente: «Dispone immediatamente, qualora ritenga incompleti o insufficienti gli elementi contenuti nel ricorso, più approfonditi e specifici accertamenti sulla situazione del minore, tramite i servizi sociali locali o gli organi di Polizia»;
b) al comma 2 aggiungere, in fine, il seguente periodo: «L’avviso contiene altresì la indicazione, per i genitori o, in mancanza, per i parenti sino al quarto grado, della facoltà di richiedere di essere sentiti personalmente dal Tribunale per i minorenni prima della decisione sulla dichiarazione dello stato di adottabilità del minore.»;
f) all’articolo 12:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Quando, attraverso le indagini effettuate, consta l’esistenza dei genitori o dei parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore e ne è nota la residenza, il Presidente del Tribunale per i minorenni, con decreto motivato, fissa la loro comparizione entro un congruo termine dinanzi a sé o a un giudice da lui delegato, qualora ne abbiano fatto richiesta ai sensi dell’art. 10, comma 2.»;
b) dopo il comma 1, aggiungere il seguente comma: «1-bis. I genitori o i parenti convocati ai sensi del comma 1 possono presentare al Presidente del Tribunale per i minorenni o al giudice da questi delegato un dettagliato impegno a garantire l’assistenza morale, materiale, l’educazione, l’istruzione ed il mantenimento del minore. Il Presidente o il giudice delegato, se ritiene l’impegno idoneo e fattibile, provvede nel senso richiesto con decreto motivato, assegnando per la concreta attuazione dello stesso un tempo non superiore ai sei mesi. Al termine del semestre, eseguiti i necessari controlli, se le condizioni del minore non risultano modificate in modo significativo, il Tribunale procede ai sensi dell’articolo15; altrimenti, provvederà a prorogare le statuizioni del decreto emesso, disponendo periodici controlli da indicarsi nel provvedimento di proroga del decreto medesimo.»;
c) il comma 4 è soppresso;
g) il comma 1 dell’articolo 15 è sostituito dal seguente comma: «1. A conclusione delle indagini e degli accertamenti previsti dagli articoli precedenti, ove risulti la situazione di abbandono di cui all’articolo 8, lo stato di adottabilità del minore è dichiarato dal tribunale per i minorenni quando:
a) i genitori ed i parenti che abbiano richiesto il colloquio ai sensi dell’articolo 12, non si sono presentati senza giustificato motivo;
b) l’audizione dei soggetti di cui alla lettera a) ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi;
c) i genitori o i parenti non hanno corrisposto in modo adeguato agli impegni di cui all’articolo 12, comma 1-bis.»;
h) all’articolo 22:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Coloro che intendono adottare o essere destinatari di minori in affidamento, devono presentare al Tribunale per i minorenni domanda, specificando le condizioni di vita sociale, economica e familiare e l’eventuale disponibilità ad adottare più fratelli ovvero minori che si trovino nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernente l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. È ammissibile la presentazione di più domande anche successive a più tribunali per i minorenni, purchè in ogni caso se ne dia comunicazione a tutti i tribunali precedentemente aditi. I tribunali cui la domanda è presentata possono richiedere copia degli atti di parte ed istruttori, relativi ai medesimi coniugi, agli altri tribunali; gli atti possono altresì essere comunicati d’ufficio. La domanda decade dopo tre anni dalla presentazione e può essere rinnovata prima della scadenza.»;
b) il comma 5 è sostituito dal seguente: «5. Il tribunale per i minorenni, in base alle indagini effettuate, dispone la adozione in favore di coloro cui il minore è stato affidato ovvero, in mancanza, in favore del nucleo familiare che abbia presentato dichiarazione ai sensi del comma 1 e risulti maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore.»;
c) dopo l’articolo 22, aggiungere il seguente articolo:
«ART. 22-bis
1. L’affidamento del minore ad una famiglia, ovvero a una persona singola legata allo stesso da vincoli di parentela, equivale all’affidamento preadottivo di cui all’articolo 22 ai fini della dichiarazione di adozione.».